11 consigli su come crescere bambini femministi - Il Post: "Qualche giorno fa, io vivo a Verona, sono stata a un incontro per le amministrative organizzato dalle associazioni LGBTI con Stuart Milk, presidente della Harvey Milk Foundation e consigliere per i diritti civili durante la presidenza di Barack Obama. Ed erano presenti anche alcuni candidati e candidate alle amministrative. Si parlava di omofobia, bullismo, discriminazioni e sessismo (si pensi che a Verona è ancora in vigore una mozione del 1995 che impegna «l’amministrazione comunale a non deliberare provvedimenti che tendano a parificare i diritti delle coppie omosessuali a quelli delle famiglie naturali costituite da un uomo e una donna» e in cui si afferma anche che «l’omosessualità contraddice la stessa legge naturale»). Durante la presentazione dei programmi su questi temi, il candidato sindaco del Movimento Cinque Stelle ha tra le altre cose fatto una proposta piuttosto originale: «assumere» nelle scuole più insegnanti maschi perché la violenza domestica è commessa soprattutto da uomini, e la parola di una maestra che sgrida un bambino che picchia una bambina è meno efficace di quello stesso rimprovero fatto da un maschio.
Chiudo gli occhi per un secondo, sospiro, mi rifiuto di spiegare i paradossi di queste affermazioni assurde e mi affido a un bell’articolo di qualche settimana fa del New York Times che a partire dalla domanda se stiamo facendo abbastanza, racconta come crescere e educare dei “bambini femministi”. O meglio, dei bambini alleati del femminismo: «Gli uomini che vogliono essere femministi non hanno bisogno di ricevere spazio nel femminismo. Devono prendere lo spazio che hanno nella società e renderlo femminista», ha detto giustamente qualcuna.
I bambini, dice l’articolo del New York Times, sono scoraggiati fin dalla nascita dall’avere interessi e competenze generalmente considerati femminili e che però sono sempre più necessari nel mondo del lavoro, nella scuola e in generale per lo sviluppo di una società più equa e felice. I miti machisti e la misoginia (basata sulla convinzione che mascolinità e virilità siano superiori) colpiscono e limitano anche gli uomini: si esprimono nel bullismo di chi si sente più maschio di altri, negli insulti omofobici, e nella difficoltà a deviare dai modelli e dagli stereotipi a cui un maschio-pienamente-maschio deve uniformarsi. L’autrice dell’articolo, Claire Cain Miller, ha chiesto a neuroscienziati, economisti, psicologi, esperti ed esperte di rispondere alla domanda “come possiamo crescere dei bambini femministi”. Le hanno risposto in base ai risultati di alcune recenti ricerche e degli ultimi dati a disposizione. “Femminista”, si precisa, è stato definito in modo molto semplice come chiunque creda nella piena e reale uguaglianza tra uomini e donne.
L’uomo che non deve chiedere mai
Femmine e maschi piangono allo stesso modo e nella stessa quantità quando sono neonati e bambini. Già a cinque anni le cose cominciano però a cambiare perché il messaggio che spesso i maschi ricevono è che se la rabbia è un sentimento accettabile, non altrettanto lo sono altre emozioni come la vulnerabilità che, dunque, non possono né devono essere manifestate apertamente. Tutto questo avviene spesso in modo non esplicito e netto, ma attraverso una serie di atteggiamenti e frasi ripetute che possono sembrare innocue (perché le dicono tutti da secoli) ma che hanno invece effetti poco neutri e molto concreti («non piangere come una femminnuccia», per dirne una).
Tony Porter, co-fondatore di A Call to Men, organizzazione statunitense che lavora per prevenire la violenza, ha spiegato che alle «nostre figlie è permesso essere delle umane, mentre ai nostri figli spesso viene insegnato ad essere dei robot». Invece è fondamentale non censurare i sentimenti e insegnare anche ai bambini come percepire, riconoscere e di conseguenza gestire l’intera gamma delle emozioni in modo che anche loro siano in grado di dire: «Non sono arrabbiato: ho paura, sto soffrendo o ho bisogno di aiuto»." SEGUE >>>
Chiudo gli occhi per un secondo, sospiro, mi rifiuto di spiegare i paradossi di queste affermazioni assurde e mi affido a un bell’articolo di qualche settimana fa del New York Times che a partire dalla domanda se stiamo facendo abbastanza, racconta come crescere e educare dei “bambini femministi”. O meglio, dei bambini alleati del femminismo: «Gli uomini che vogliono essere femministi non hanno bisogno di ricevere spazio nel femminismo. Devono prendere lo spazio che hanno nella società e renderlo femminista», ha detto giustamente qualcuna.
I bambini, dice l’articolo del New York Times, sono scoraggiati fin dalla nascita dall’avere interessi e competenze generalmente considerati femminili e che però sono sempre più necessari nel mondo del lavoro, nella scuola e in generale per lo sviluppo di una società più equa e felice. I miti machisti e la misoginia (basata sulla convinzione che mascolinità e virilità siano superiori) colpiscono e limitano anche gli uomini: si esprimono nel bullismo di chi si sente più maschio di altri, negli insulti omofobici, e nella difficoltà a deviare dai modelli e dagli stereotipi a cui un maschio-pienamente-maschio deve uniformarsi. L’autrice dell’articolo, Claire Cain Miller, ha chiesto a neuroscienziati, economisti, psicologi, esperti ed esperte di rispondere alla domanda “come possiamo crescere dei bambini femministi”. Le hanno risposto in base ai risultati di alcune recenti ricerche e degli ultimi dati a disposizione. “Femminista”, si precisa, è stato definito in modo molto semplice come chiunque creda nella piena e reale uguaglianza tra uomini e donne.
L’uomo che non deve chiedere mai
Femmine e maschi piangono allo stesso modo e nella stessa quantità quando sono neonati e bambini. Già a cinque anni le cose cominciano però a cambiare perché il messaggio che spesso i maschi ricevono è che se la rabbia è un sentimento accettabile, non altrettanto lo sono altre emozioni come la vulnerabilità che, dunque, non possono né devono essere manifestate apertamente. Tutto questo avviene spesso in modo non esplicito e netto, ma attraverso una serie di atteggiamenti e frasi ripetute che possono sembrare innocue (perché le dicono tutti da secoli) ma che hanno invece effetti poco neutri e molto concreti («non piangere come una femminnuccia», per dirne una).
Tony Porter, co-fondatore di A Call to Men, organizzazione statunitense che lavora per prevenire la violenza, ha spiegato che alle «nostre figlie è permesso essere delle umane, mentre ai nostri figli spesso viene insegnato ad essere dei robot». Invece è fondamentale non censurare i sentimenti e insegnare anche ai bambini come percepire, riconoscere e di conseguenza gestire l’intera gamma delle emozioni in modo che anche loro siano in grado di dire: «Non sono arrabbiato: ho paura, sto soffrendo o ho bisogno di aiuto»." SEGUE >>>
Nessun commento:
Posta un commento