L'euro compie 15 anni e in tanti vogliono fargli la festa - Economia - InvestireOggi.it: "L’euro è entrato nelle tasche di noi italiani, insieme ad altri undici popoli dell’unione monetaria, l’1 gennaio del 2002, anche se formalmente veniva considerata la moneta comune di dodici paesi sin dall’1 gennaio del 1999, quando avvenne la fissazione irreversibile dei tassi di cambio nazionali. Il compleanno è, però, mesto, viste le condizioni economiche e forse, soprattutto, politiche in cui versa l’Eurozona oggi. La ripresa indubbiamente c’è, come dimostrano i dati sul pil degli ultimi trimestri, che ad oggi hanno smentito quanti temevano un effetto Brexit negativo sulla nostra crescita. L’inflazione, pur rimanendo bassissima e zoppicante, mostra i primi segnali di accelerazione, anche se lontana dal target della BCE, che è di quasi il 2%. La stessa disoccupazione è scesa finalmente sotto il 10%, ma con punte più che doppie in Grecia e di quasi il 19% in Spagna, mentre in Germania è ai minimi dalla riunificazione del 1990.
In Italia, c’è poco e nulla da festeggiare. Che l’euro sia o meno la causa dei nostri mali, è indubbio che abbia coinciso con la peggiore fase economica mai vissuta prima dal nostro paese. Il pil italiano è oggi agli stessi livelli dell’anno 2000, mostrando la performance più negativa di tutta Europa, Grecia compresa. I redditi reali delle famiglie sono tornati grosso modo ai livelli di un ventennio fa, anche se la ricchezza accumulata da allora è di molto cresciuta, così come i debiti, quasi raddoppiati. (Leggi anche: Economia italiana ferma, serve il linguaggio della verità)
C’entra l’euro con la crisi italiana?
I 15 anni di euro, quindi, rappresentano per noi italiani una lunga fase di stagnazione economica, la cui via d’uscita non s’intravede ancora, se è vero che il Fondo Monetario Internazionale paventa che ci serviranno almeno altri otto anni, prima di tornare al pil reale del 2007. Rischiamo di perdere due decenni solo per superare la pesante recessione degli ultimi anni, quando già ne avevamo perso uno allorquando la crisi mondiale era esplosa.
C’entra l’euro con tutto questo? Sì e no. No, perché l’Italia soffre degli stessi mali da almeno una quarantina di anni: elevata burocrazia, mercato ingessato, alte tasse, alta spesa pubblica e scarse infrastrutture. Sì, perché l’impossibilità di dare sollievo alla nostra economia, anche solo nel breve periodo, deriva dall’essere parte di un’unione monetaria, che ci impedisce di raggiungere un equilibrio di piena occupazione (o qualcosa che vi somigli), attraverso le fluttuazioni del tasso di cambio. (Leggi anche: Crisi euro, competitività perduta dal Sud)"
In Italia, c’è poco e nulla da festeggiare. Che l’euro sia o meno la causa dei nostri mali, è indubbio che abbia coinciso con la peggiore fase economica mai vissuta prima dal nostro paese. Il pil italiano è oggi agli stessi livelli dell’anno 2000, mostrando la performance più negativa di tutta Europa, Grecia compresa. I redditi reali delle famiglie sono tornati grosso modo ai livelli di un ventennio fa, anche se la ricchezza accumulata da allora è di molto cresciuta, così come i debiti, quasi raddoppiati. (Leggi anche: Economia italiana ferma, serve il linguaggio della verità)
C’entra l’euro con la crisi italiana?
I 15 anni di euro, quindi, rappresentano per noi italiani una lunga fase di stagnazione economica, la cui via d’uscita non s’intravede ancora, se è vero che il Fondo Monetario Internazionale paventa che ci serviranno almeno altri otto anni, prima di tornare al pil reale del 2007. Rischiamo di perdere due decenni solo per superare la pesante recessione degli ultimi anni, quando già ne avevamo perso uno allorquando la crisi mondiale era esplosa.
C’entra l’euro con tutto questo? Sì e no. No, perché l’Italia soffre degli stessi mali da almeno una quarantina di anni: elevata burocrazia, mercato ingessato, alte tasse, alta spesa pubblica e scarse infrastrutture. Sì, perché l’impossibilità di dare sollievo alla nostra economia, anche solo nel breve periodo, deriva dall’essere parte di un’unione monetaria, che ci impedisce di raggiungere un equilibrio di piena occupazione (o qualcosa che vi somigli), attraverso le fluttuazioni del tasso di cambio. (Leggi anche: Crisi euro, competitività perduta dal Sud)"
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