Cina-Chiesa: potere imperiale, non divino - SettimanaNews: "Mentre da Roma e da Pechino si moltiplicano le voci di passi avanti nel difficile e ormai decennale dialogo tra Santa Sede e governo cinese, così aumentano le voci che si oppongono a tale intesa. Del resto, da oltre un secolo in tutto il mondo la Chiesa cattolica è stata una colonna dell’opposizione contro l’ideologia atea comunista.
Negli anni Cinquanta del secolo scorso, il Vaticano addirittura scomunicò i comunisti. Perché oggi la Chiesa dovrebbe cambiare atteggiamento, quando il regime al potere a Pechino continua a chiamarsi comunista e continua a interferire nella vita interna della Chiesa? In fondo, nel giro di qualche anno o di qualche decennio, anche in Cina il comunismo finirà e allora la Chiesa potrebbe entrare nel paese senza la necessità di alcun compromesso con i comunisti.
Meglio senza vinti e vincitori
Questa idea però trascura quello che è avvenuto negli ultimi 70 anni nella Chiesa cinese. Essa si è divisa profondamente, tra coloro che hanno scelto di collaborare con il governo e coloro che sono andati in clandestinità pur di rimanere fedeli a Roma. Tali divisioni, dalla fine degli anni ’80, in poi si sono, da una parte, sfumate e, dall’altra, complicate, con la concessione dello “stato di necessità” (ordinazione episcopale senza permesso previo di Roma) di papa Giovanni Paolo II nel 2007 e poi la lettera di Benedetto XVI che toglieva lo “stato di necessità”. Le divisioni nella Chiesa cinese non sono più profonde come venti o dieci anni fa, ma rimangono sospetti e rancori reciproci che hanno bisogno di molta attenzione.
In caso di “rientro della Chiesa” in Cina dopo il crollo comunista, però, la Santa Sede si troverebbe davanti una Chiesa cinese profondamente divisa in vincitori e vinti. I vincitori sarebbero coloro che non si sarebbero mai arresi, i vinti sarebbero i “collaborazionisti”. Sarebbe una divisione profondissima e un’umiliazione enorme per i vinti, considerati uomini senza fede (che hanno abbandonato Roma) e senza patria (perché il governo è caduto).
Tale divisione sarebbe certo più profonda di quella di oggi, dove Roma cerca l’accordo con il governo ma lo fa senza vinti o vincitori, perché le due vecchie comunità, quelli degli ex clandestini e quelli ufficiali, possono entrambe dire di avere rinunciato a qualcosa ma anche di avere portato contributi positivi al dialogo in corso.
La controversia dei riti
Le differenze e le divisioni nella Chiesa cinese di oggi sarebbero moltiplicate ed esasperate in un eventuale futuro. Sempre ammesso che il regime crolli, perché è possibile che questo regime invece duri, dato che si è dimostrato capace di adattamenti profondi. Allora si sarebbero persi decenni o secoli, come fu con i gesuiti.
Infatti, non entrare ora ed entrare alla fine del regime comunista è una prospettiva che storicamente è simile a quella che, nel 1700, portò all’uscita dei gesuiti dalla corte imperiale e poi al rientro in Cina, circa un secolo dopo, dei cattolici sostenuti dai cannoni francesi. Al di là del fatto che i comunisti siano buoni o meno, per i cattolici (una fede che viene dall’Occidente) attendere il crollo di questo regime è un voto politico chiaro che va al di là dello scontro ideologico. Diventa simbolico di un modo dell’Occidente, di potenze straniere (magari anche asiatiche) di pensare alla Cina. Bisogna trattare con lei dopo avere spazzato via un regime oppressivo (che siano i mancesi del ’700 o i comunisti di oggi). Quindi, anche se ciò avvenisse (il crollo del regime comunista), i cattolici entrerebbero in Cina come fecero nell’800, come strumento ideologico di dominio esterno sui cinesi. Allora ci vollero decenni perché la Chiesa si liberasse della pesante cappa protettiva francese con il nunzio a Pechino, mons. Celso Costantini, negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. Potrebbe quindi essere molto rischioso.
Confucio e il figlio del cielo
Guardando, quindi, a una prospettiva di decenni e secoli, occorre notare cosa è successo invece in questi ultimi mesi. Il governo cinese ha concesso in linea di principio che il papa abbia un ruolo nella selezione dei vescovi. Cioè, per la prima volta nella sua storia millenaria in Cina, l’imperatore ha fatto un passo indietro sulla sua autorità spirituale e ha separato potere politico e potere religioso. Il ruolo dell’imperatore fondeva, infatti, i vari aspetti, di governante e di supremo capo religioso-spirituale. Era il figlio del Cielo (tian zi) e il cielo era la divinità suprema. Ufficiava riti statali e religiosi.
Certo, questo culto-cultura confuciano era molto più vago, laico e impreciso rispetto al califfo musulmano o all’imperatore bizantino, ma il principio rimaneva ed era talmente forte da essere, per quasi due secoli, al centro del dibattito cattolico. Da una parte, c’erano i gesuiti “collaborazionisti”, che davano un’interpretazione “leggera”, secondo cui il confucianesimo non era una religione. Dall’altra parte, c’erano i francescani e i domenicani, secondo cui il confucianesimo era una religione e i gesuiti tradivano la loro fede." SEGUE >>>
Negli anni Cinquanta del secolo scorso, il Vaticano addirittura scomunicò i comunisti. Perché oggi la Chiesa dovrebbe cambiare atteggiamento, quando il regime al potere a Pechino continua a chiamarsi comunista e continua a interferire nella vita interna della Chiesa? In fondo, nel giro di qualche anno o di qualche decennio, anche in Cina il comunismo finirà e allora la Chiesa potrebbe entrare nel paese senza la necessità di alcun compromesso con i comunisti.
Meglio senza vinti e vincitori
Questa idea però trascura quello che è avvenuto negli ultimi 70 anni nella Chiesa cinese. Essa si è divisa profondamente, tra coloro che hanno scelto di collaborare con il governo e coloro che sono andati in clandestinità pur di rimanere fedeli a Roma. Tali divisioni, dalla fine degli anni ’80, in poi si sono, da una parte, sfumate e, dall’altra, complicate, con la concessione dello “stato di necessità” (ordinazione episcopale senza permesso previo di Roma) di papa Giovanni Paolo II nel 2007 e poi la lettera di Benedetto XVI che toglieva lo “stato di necessità”. Le divisioni nella Chiesa cinese non sono più profonde come venti o dieci anni fa, ma rimangono sospetti e rancori reciproci che hanno bisogno di molta attenzione.
In caso di “rientro della Chiesa” in Cina dopo il crollo comunista, però, la Santa Sede si troverebbe davanti una Chiesa cinese profondamente divisa in vincitori e vinti. I vincitori sarebbero coloro che non si sarebbero mai arresi, i vinti sarebbero i “collaborazionisti”. Sarebbe una divisione profondissima e un’umiliazione enorme per i vinti, considerati uomini senza fede (che hanno abbandonato Roma) e senza patria (perché il governo è caduto).
Tale divisione sarebbe certo più profonda di quella di oggi, dove Roma cerca l’accordo con il governo ma lo fa senza vinti o vincitori, perché le due vecchie comunità, quelli degli ex clandestini e quelli ufficiali, possono entrambe dire di avere rinunciato a qualcosa ma anche di avere portato contributi positivi al dialogo in corso.
La controversia dei riti
Le differenze e le divisioni nella Chiesa cinese di oggi sarebbero moltiplicate ed esasperate in un eventuale futuro. Sempre ammesso che il regime crolli, perché è possibile che questo regime invece duri, dato che si è dimostrato capace di adattamenti profondi. Allora si sarebbero persi decenni o secoli, come fu con i gesuiti.
Infatti, non entrare ora ed entrare alla fine del regime comunista è una prospettiva che storicamente è simile a quella che, nel 1700, portò all’uscita dei gesuiti dalla corte imperiale e poi al rientro in Cina, circa un secolo dopo, dei cattolici sostenuti dai cannoni francesi. Al di là del fatto che i comunisti siano buoni o meno, per i cattolici (una fede che viene dall’Occidente) attendere il crollo di questo regime è un voto politico chiaro che va al di là dello scontro ideologico. Diventa simbolico di un modo dell’Occidente, di potenze straniere (magari anche asiatiche) di pensare alla Cina. Bisogna trattare con lei dopo avere spazzato via un regime oppressivo (che siano i mancesi del ’700 o i comunisti di oggi). Quindi, anche se ciò avvenisse (il crollo del regime comunista), i cattolici entrerebbero in Cina come fecero nell’800, come strumento ideologico di dominio esterno sui cinesi. Allora ci vollero decenni perché la Chiesa si liberasse della pesante cappa protettiva francese con il nunzio a Pechino, mons. Celso Costantini, negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. Potrebbe quindi essere molto rischioso.
Confucio e il figlio del cielo
Guardando, quindi, a una prospettiva di decenni e secoli, occorre notare cosa è successo invece in questi ultimi mesi. Il governo cinese ha concesso in linea di principio che il papa abbia un ruolo nella selezione dei vescovi. Cioè, per la prima volta nella sua storia millenaria in Cina, l’imperatore ha fatto un passo indietro sulla sua autorità spirituale e ha separato potere politico e potere religioso. Il ruolo dell’imperatore fondeva, infatti, i vari aspetti, di governante e di supremo capo religioso-spirituale. Era il figlio del Cielo (tian zi) e il cielo era la divinità suprema. Ufficiava riti statali e religiosi.
Certo, questo culto-cultura confuciano era molto più vago, laico e impreciso rispetto al califfo musulmano o all’imperatore bizantino, ma il principio rimaneva ed era talmente forte da essere, per quasi due secoli, al centro del dibattito cattolico. Da una parte, c’erano i gesuiti “collaborazionisti”, che davano un’interpretazione “leggera”, secondo cui il confucianesimo non era una religione. Dall’altra parte, c’erano i francescani e i domenicani, secondo cui il confucianesimo era una religione e i gesuiti tradivano la loro fede." SEGUE >>>
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