Terrorismo in Turchia, tutti gli errori di Erdogan: "Recep Tayyip Erdogan ha riempito i supermarket e gli arsenali del Califfato e sepolto il processo di pace con i curdi: le due cause della raffica di attentati che, tra il 2015 e il 2016, hanno colpito la Turchia.
Fino alla mattanza dell'aeroporto Ataturk.
Il Sultano «si è montato la testa», «si è fatto prendere la mano», «è un dittatore».
Non si riconosce più dall'ex calciatore, laureato in Economia, che faceva scintille come sindaco di Istanbul.
DA PERSEGUITATO A DITTATORE. Votato dalla Turchia musulmana (anche) perché ex esiliato dei generali allineati agli Usa, che non volevano tra i piedi né Islam né curdi, è stato premier brillante all'inizio, complice il boom economico turco.
Promotore addirittura del primo negoziato con il Pkk di Öcalan, al quale aveva fatto alcune concessioni.
OVERDOSE DI SOLDI E POTERE. Poi sono piovuti i soldi sulla sua famiglia: un fiume di miliardi dalle lobby e provenienti anche dalle sospette forniture di petrolio del figlio Bilal.
Ma forse il tre volte premier e presidente turco, che ad Ankara si è eretto una reggia di 1.200 stanze, ha semplicemente calato la maschera.
Con Qatar e sauditi, sognando un nuovo Califfato ottomano
(© GettyImages) Recep Tayyip Erdogan.
A 61 anni Erdogan è al potere dal 2003, prima come premier e dal 2014 come presidente.
È ancora il leader del partito più votato in Turchia, gli islamisti conservatori dell'Akp, ma in calo di consensi.
Il 40% dei laici del Paese si ribella a lui dalla svolta liberticida e censoria che lo ha visto, dal 2010, costruire moschee, vietare il consumo e la vendita di alcol di notte e accanto a luoghi di culto e scuole, oscurare Internet e tivù, tentare di accentrare i poteri forzando la Costituzione.
L'ONDATA DELLE INSURREZIONI. Nell'aria c'era la Primavera araba guidata dalla Fratellanza musulmana che sarebbe presto esplosa, portando altri grossi guai a Erdogan e al suo entourage, decisi a cavalcare - con ogni mezzo - l'ondata delle insurrezioni.
Dal 2011 il soft power che Ankara esercitava in Medio Oriente e in Nord Africa si è radicalizzato nell'interventismo bellico spinto che ha portato la Turchia all'alleanza prima con il Qatar, poi con l'Arabia Saudita: i due Stati del Golfo che più hanno finanziato e armato, insieme al governo di Erdogan, i gruppi di combattenti islamici più radicali, anche jihadisti, nella regione.
LA SETE DI UN NUOVO IMPERO. L'Akp non ha mai fatto mistero delle sue mire (anche territoriali) neo-ottomane in Siria, Iraq, Libia.
Dove prima della spartizione coloniale di Sykes-Picot, del 1916, tra la Francia e la Gran Bretagna, dal 1.300 i sultani di un impero in rottamazione la facevano da padrone.
Dal 2011 con l'Islam più estremista in Siria, Iraq e Libia
(© Ansa) Superstiti dell'attentato all'aeroporto Ataturk di Istanbul.
Ma Erdogan non ha avuto freni.
Negli ultimi cinque anni ha lasciato passare migliaia di combattenti e tonnellate di rifornimenti dai suoi confini meridionali della Turchia, verso i territori controllati da al Nusra (al Qaeda in Siria), da altri gruppi jihadisti salafiti come Jaysh al Islam e Ahrar al Sham, e si sospetta anche verso il Califfato.
Russia, Iran e curdi lo accusano di commercio illegale di petrolio contrabbandato dall'Isis, attraverso le società del figlio.
ARMI E SOLDI AI JIHADISTI. Abitanti e combattenti pentiti in fuga da Raqqa e Musul, capitali del sedicente Stato islamico in Siria e in Iraq, hanno raccontato di supermercati e negozi pieni di merce turca. Come in Libia, a Tripoli e nei territori in mano ad Ansar al Sharia (al Qaeda) e agli islamisti di Alba libica, solo negli ultimi mesi, con efficacia, in guerra contro gli stranieri dell'Isis approdati nel Paese.
Verso Derna, Bengasi, anche Tripoli, è arrivato di tutto via mare e via aerea, dal Qatar e dalla Turchia, mentre a Sirte nasceva il Califfato di Libia.
SFILZA DI NEMICI INTERNI. Dalla Turchia verso la Siria e l'Iraq un fiume di jihadisti anche europei, atterrati pure a Istanbul, e di tir documentati dalle riprese aeree superava intanto il confine.
Una politica spericolata che ha creato scismi anche interni all'Akp con i maggiori leader e influencer islamici - l'ex capo di Stato Gül, il predicatore lobbista Gülen, il premier fatto fuori Davutoglu - ora oppositori di Erdogan.
La guerra ai curdi anche attraverso l'Isis e la strategia della tensione"SEGUE >>>
Fino alla mattanza dell'aeroporto Ataturk.
Il Sultano «si è montato la testa», «si è fatto prendere la mano», «è un dittatore».
Non si riconosce più dall'ex calciatore, laureato in Economia, che faceva scintille come sindaco di Istanbul.
DA PERSEGUITATO A DITTATORE. Votato dalla Turchia musulmana (anche) perché ex esiliato dei generali allineati agli Usa, che non volevano tra i piedi né Islam né curdi, è stato premier brillante all'inizio, complice il boom economico turco.
Promotore addirittura del primo negoziato con il Pkk di Öcalan, al quale aveva fatto alcune concessioni.
OVERDOSE DI SOLDI E POTERE. Poi sono piovuti i soldi sulla sua famiglia: un fiume di miliardi dalle lobby e provenienti anche dalle sospette forniture di petrolio del figlio Bilal.
Ma forse il tre volte premier e presidente turco, che ad Ankara si è eretto una reggia di 1.200 stanze, ha semplicemente calato la maschera.
Con Qatar e sauditi, sognando un nuovo Califfato ottomano
(© GettyImages) Recep Tayyip Erdogan.
A 61 anni Erdogan è al potere dal 2003, prima come premier e dal 2014 come presidente.
È ancora il leader del partito più votato in Turchia, gli islamisti conservatori dell'Akp, ma in calo di consensi.
Il 40% dei laici del Paese si ribella a lui dalla svolta liberticida e censoria che lo ha visto, dal 2010, costruire moschee, vietare il consumo e la vendita di alcol di notte e accanto a luoghi di culto e scuole, oscurare Internet e tivù, tentare di accentrare i poteri forzando la Costituzione.
L'ONDATA DELLE INSURREZIONI. Nell'aria c'era la Primavera araba guidata dalla Fratellanza musulmana che sarebbe presto esplosa, portando altri grossi guai a Erdogan e al suo entourage, decisi a cavalcare - con ogni mezzo - l'ondata delle insurrezioni.
Dal 2011 il soft power che Ankara esercitava in Medio Oriente e in Nord Africa si è radicalizzato nell'interventismo bellico spinto che ha portato la Turchia all'alleanza prima con il Qatar, poi con l'Arabia Saudita: i due Stati del Golfo che più hanno finanziato e armato, insieme al governo di Erdogan, i gruppi di combattenti islamici più radicali, anche jihadisti, nella regione.
LA SETE DI UN NUOVO IMPERO. L'Akp non ha mai fatto mistero delle sue mire (anche territoriali) neo-ottomane in Siria, Iraq, Libia.
Dove prima della spartizione coloniale di Sykes-Picot, del 1916, tra la Francia e la Gran Bretagna, dal 1.300 i sultani di un impero in rottamazione la facevano da padrone.
Dal 2011 con l'Islam più estremista in Siria, Iraq e Libia
(© Ansa) Superstiti dell'attentato all'aeroporto Ataturk di Istanbul.
Ma Erdogan non ha avuto freni.
Negli ultimi cinque anni ha lasciato passare migliaia di combattenti e tonnellate di rifornimenti dai suoi confini meridionali della Turchia, verso i territori controllati da al Nusra (al Qaeda in Siria), da altri gruppi jihadisti salafiti come Jaysh al Islam e Ahrar al Sham, e si sospetta anche verso il Califfato.
Russia, Iran e curdi lo accusano di commercio illegale di petrolio contrabbandato dall'Isis, attraverso le società del figlio.
ARMI E SOLDI AI JIHADISTI. Abitanti e combattenti pentiti in fuga da Raqqa e Musul, capitali del sedicente Stato islamico in Siria e in Iraq, hanno raccontato di supermercati e negozi pieni di merce turca. Come in Libia, a Tripoli e nei territori in mano ad Ansar al Sharia (al Qaeda) e agli islamisti di Alba libica, solo negli ultimi mesi, con efficacia, in guerra contro gli stranieri dell'Isis approdati nel Paese.
Verso Derna, Bengasi, anche Tripoli, è arrivato di tutto via mare e via aerea, dal Qatar e dalla Turchia, mentre a Sirte nasceva il Califfato di Libia.
SFILZA DI NEMICI INTERNI. Dalla Turchia verso la Siria e l'Iraq un fiume di jihadisti anche europei, atterrati pure a Istanbul, e di tir documentati dalle riprese aeree superava intanto il confine.
Una politica spericolata che ha creato scismi anche interni all'Akp con i maggiori leader e influencer islamici - l'ex capo di Stato Gül, il predicatore lobbista Gülen, il premier fatto fuori Davutoglu - ora oppositori di Erdogan.
La guerra ai curdi anche attraverso l'Isis e la strategia della tensione"SEGUE >>>
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