martedì 8 marzo 2016

Quei malati fantasma di Hiv: in Italia il virus silenzioso contagia 11 persone al giorno | San Francesco - Rivista del Sacro Convento di San Francesco di Assisi

Quei malati fantasma di Hiv: in Italia il virus silenzioso contagia 11 persone al giorno | San Francesco - Rivista del Sacro Convento di San Francesco di Assisi: "Ogni giorno, in Italia, 11 persone scoprono di essere sieropositive. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità le nuove diagnosi di infezione da Hiv sono 4 mila l’anno. Siamo il secondo Paese in Europa per incidenza di Aids, dopo il Portogallo. Nel passaggio dall’infezione alla malattia ci sono ancora drammi nascosti come quello di un uomo e una donna, residenti ad Anzio e a Civitavecchia, entrambi sieropositivi. Barricati in casa, si fanno identificare con un numero. Neanche chi li assiste a domicilio conosce il loro nome. Ogni volta che l’équipe della Caritas va a prendere le loro medicine in farmacia usa un codice fornito dall’istituto Spallanzani di Roma. Perché queste due persone vogliono restare fantasmi. «I pazienti ci chiedono che la nostra macchina non sia riconoscibile e di non far indossare alle suore abiti religiosi» racconta al centro Caritas di via Casilina Massimo Pasquo, responsabile delle terapie a domicilio per malati gravi di Aids. Accanto a lui siede Mario Guerra, una vita a contatto di un male dimenticato che condanna ancora all’isolamento: «Le famiglie sono impreparate, li chiudono in una stanza e chiedono se per disinfettare gli ambienti serva la varecchina». 


L’ignoranza e la sottovalutazione fanno dilagare il virus dell’Hiv anche per l’errata convinzione che in Occidente sia un flagello ormai debellato e relegato nei Paesi più poveri. Sono morti oltre 40 mila italiani per l’Aids, un’epidemia che si è depotenziata a metà Anni Novanta. La peste del nuovo secolo sembrava passata, ma il ventennio trascorso senza più paura ha però fatto dimenticare che l’Hiv continuava a diffondersi. Una cappa di silenzio infranta qualche mese fa dal clamore di una vicenda con al centro un trentenne romano di nome Valentino T. e le numerose ragazze da lui infettate. Nella semplificazione mediatica il ritorno dell’«untore» ha riaperto uno squarcio di luce su una malattia che per molti è confinata nell’immaginario degli Anni Ottanta ma che invece è ancora attualissima. Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità la percentuale di infezione in Europa non è molto inferiore a quella di trenta anni fa. «Dal 2005 le nuove diagnosi sono più che raddoppiate in molti Paesi Ue, segno che la risposta al virus non è stata efficace nell’ultimo decennio» ammette Andrea Ammon, direttore del Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc). 
 

Cosa è mancato? Le campagne di comunicazione e di prevenzione sono scomparse. Ma il problema sarebbe ancor più a monte. In Italia, in particolare, le strategie di contrasto all’Aids hanno una falla alla radice: i numeri. Se si osservano i diagrammi delle nuove diagnosi si nota una stabilizzazione sospetta dal 2010 che fa dire a tutti, associazioni dei malati e autorità sanitarie, che i 4 mila casi annui sono «sottostimati». Le diagnosi registrano contagi che possono risalire fino a 15 anni prima, per la lunga incubazione dell’Hiv. Diverso è il discorso sulle «nuove infezioni», cioè chi ha preso il virus di recente, che permetterebbe un’analisi più precisa del fenomeno: qui però c’è una stima che, secondo l’Istituto superiore di sanità, si avvicina al numero delle diagnosi per il fatto che questo è rimasto costante negli anni.  
 


Da tempo la Lega italiana per la lotta all’Aids (Lila) ha posto la questione della carenza di dati, prima al Comitato tecnico del ministero della Salute, poi all’Iss, infine al Capo dello Stato Sergio Mattarella, con una lettera inviata lo scorso dicembre. «Innanzitutto non si sa quanti siano i test effettuati in Italia - spiega Massimo Oldrini, presidente Lila -. L’Ecdc ci chiede che venga resa nota la base sulla quale vengono calcolati i 4 mila casi annui. Perché l’Italia non la comunica?».  
Abbiamo girato la domanda al direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Iss Gianni Rezza e a Maria Grazia Pompa, direttrice della Prevenzione sanitaria al ministero della Salute. Una risposta chiara non arriva. Vengono riconosciute le difficoltà di trasmissione dalla periferia (ospedali, Asl) al centro (l’Iss) mentre Pompa parla di «incongruenza» in quanto molti potrebbero ripetere più volte il test. «Ma senza numeri certi non si possono mettere in campo azioni concrete ed efficaci - continua Oldrini -. Manca pure una cabina di regia istituzionale». 


Dal ministero finalmente sta per arrivare una risposta che però dà anche la dimensione della nuova emergenza: è quasi pronto il primo piano nazionale Aids che farà il tagliando di tutta una serie di misure arrugginite dagli anni, puntando a migliorare il flusso di informazioni, a monitorare i finanziamenti alle Regioni, che intanto dirottano i fondi per l’Hiv su altre voci, a incoraggiare l’accesso ai test in forma gratuita e anonima. E soprattutto ad assicurare il cosiddetto «trattamento preventivo» che mette in sicurezza chi è infettato e si pone l’obiettivo di azzerare i contagi.  
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