Prodi: «Combattere le disuguaglianze per sfuggire alla stagnazione» | Economia | www.avvenire.it: "Riflettere sul bisogno di costruire una società più giusta. Un obiettivo al cui raggiungimento può (e deve) contribuire pure il mondo delle imprese, soprattutto quando le istituzioni democratiche mostrano una certa fatica a fornire risposte complete, adeguate, efficaci. Proprio per interrogarsi su come partecipare attivamente a una svolta necessaria, Confindustria organizza un seminario dal titolo 'Fare insieme: etica e impresa nella società connessa e globale'. Un evento che si terrà al centro congressi Augustinianum domani – cioè alla vigilia della storica udienza di sabato 27 febbraio con le imprese di Confindustria (la prima in 106 anni di storia) che saranno ricevute da papa Francesco in Vaticano. Una platea di relatori prestigiosa. Interverranno, tra gli altri, i cardinali Domenico Calcagno, Antonio Maria Veglio e Gianfranco Ravasi, e altri relatori di prestigio.
Lanciare la sfida alle nuove, crescenti disuguaglianze. Una battaglia che ha una forte connotazione morale, ma che è anche necessaria per dare maggiore sicurezza sociale e favorire la crescita economica. L’Europa non può «perdere l’anima» e deve reagire alle previsioni di una 'stagnazione secolare' che, se non stiamo attenti, può diventare il nostro destino. Si può sintetizzare così il messaggio lanciato dall’ex presidente del Consiglio Romano Prodi che in questa intervista anticipa le riflessioni che svilupperà domani al convegno di Confindustria. Un appuntamento che prepara la visita degli imprenditori italiani a Papa Francesco, nell’ambito del Giubileo. Se si va avanti così «rischiamo di finire cornuti e bastonati», dice Prodi, cioè «di vivere in una società non solo ingiusta ma anche poco dinamica. Le ultime generazioni hanno rivoluzionato il mondo in un modo mai visto, ma l’insicurezza è aumentata. Non si tratta solo di timori per le tensioni politiche e la guerra. Anche a casa nostra c’è paura per il futuro delle famiglie e delle persone», afferma l’ex premier. «Una paura che frena l’economia».
Qual è l’origine di questa incertezza?
Nei Paesi sviluppati è il frutto della globalizzazione che ha coinvolto per il bene e per il male miliardi di persone, creando anche grandi insicurezze. Un fenomeno inevita- bile perché con i mezzi di comunicazione di oggi il mondo è diventato più piccolo.
Diciamo allora che non c’è nulla da fare?
No, ma occorre porre rimedio ai grandi problemi causati dall’ingiusta distribuzione del reddito, dalla finanziarizzazione dall’economia e dalle nuove tecnologie.
Le diseguaglianze stanno crescendo?
Fino circa al 1980 sono diminuite, grazie all’effetto delle politiche salariali, all’azione dei sindacati, all’intervento redistributivo dei governi attraverso le imposte. Soprattutto prevaleva una dottrina economica, che possiamo definire keynesiana, per la quale la protezione sociale e l’uguaglianza erano obiettivi condivisi. Poi tutto si è rovesciato. Soprattutto per opera dei governi della Thatcher in Gran Bretagna e di Reagan negli Stati Uniti si è imposta la dottrina economica di 'non intervento' basata sui principi di un liberalismo esasperato. Sono diminuite in modo drastico le aliquote fiscali sui redditi maggiori, sono state abolite in molti Paesi le imposte sulle eredità e, anche se non è diminuito nel complesso il carico fiscale, è stato alleviato il peso sui redditi più elevati.
Una redistribuzione al contrario?
Sì. Ci sono state scelte politiche che hanno aumentato le differenze tra ceti alti e ceti medio- bassi. A ciò si è accompagnata la finanziarizzazione dell’economia: le strutture della finanza hanno accumulato fortune come non mai prima. Si dice che oggi un terzo delle ricchezze del mondo facciano capo a persone che starebbero tutte in un solo pullman e questo, come viene spiegato da molti economisti, perché il rendimento della finanza è più elevato del rendimento dell’economia produttiva. La tendenza liberista è diventata una prassi comune a tutti i Paesi. Compresa la Cina, che si è sviluppata a un ritmo rapidissimo ma con delle fortissime disparità. Tuttavia negli ultimi 4 o 5 anni non pochi economisti hanno cominciato a studiare il fenomeno della disuguaglianza. Pensi solo alla pubblicazione dei saggi di Piketty o di Atkinson che hanno avuto molta fortuna e hanno fortemente ri-orientato la ricerca, ma ancora non influenzato i comportamenti dei governi. Ancora oggi, chi parla di imposte e di riorganizzazione del sistema fiscale perde le elezioni.
Se chi punta alla ridistribuzione perde le elezioni significa che anche nel sentire comune l’idea liberista é molto diffusa.
Esatto, per questo dico che le dottrine sono importanti. Ma piano piano queste nuove analisi stanno cambiando la testa delle persone. Siamo arrivati a un fatto prima inconcepibile: un candidato alla primarie americane che si definisce socialista, parola che negli Usa era quasi un crimine di guerra. Ora è chiaro che Sanders molto probabilmente non vincerà, ma il fatto che una parte cospicua della giovane generazione americana lo sostenga è interessante perché induce a un ripensamento sui problemi di fondo. "SEGUE >>>
Lanciare la sfida alle nuove, crescenti disuguaglianze. Una battaglia che ha una forte connotazione morale, ma che è anche necessaria per dare maggiore sicurezza sociale e favorire la crescita economica. L’Europa non può «perdere l’anima» e deve reagire alle previsioni di una 'stagnazione secolare' che, se non stiamo attenti, può diventare il nostro destino. Si può sintetizzare così il messaggio lanciato dall’ex presidente del Consiglio Romano Prodi che in questa intervista anticipa le riflessioni che svilupperà domani al convegno di Confindustria. Un appuntamento che prepara la visita degli imprenditori italiani a Papa Francesco, nell’ambito del Giubileo. Se si va avanti così «rischiamo di finire cornuti e bastonati», dice Prodi, cioè «di vivere in una società non solo ingiusta ma anche poco dinamica. Le ultime generazioni hanno rivoluzionato il mondo in un modo mai visto, ma l’insicurezza è aumentata. Non si tratta solo di timori per le tensioni politiche e la guerra. Anche a casa nostra c’è paura per il futuro delle famiglie e delle persone», afferma l’ex premier. «Una paura che frena l’economia».
Qual è l’origine di questa incertezza?
Nei Paesi sviluppati è il frutto della globalizzazione che ha coinvolto per il bene e per il male miliardi di persone, creando anche grandi insicurezze. Un fenomeno inevita- bile perché con i mezzi di comunicazione di oggi il mondo è diventato più piccolo.
Diciamo allora che non c’è nulla da fare?
No, ma occorre porre rimedio ai grandi problemi causati dall’ingiusta distribuzione del reddito, dalla finanziarizzazione dall’economia e dalle nuove tecnologie.
Le diseguaglianze stanno crescendo?
Fino circa al 1980 sono diminuite, grazie all’effetto delle politiche salariali, all’azione dei sindacati, all’intervento redistributivo dei governi attraverso le imposte. Soprattutto prevaleva una dottrina economica, che possiamo definire keynesiana, per la quale la protezione sociale e l’uguaglianza erano obiettivi condivisi. Poi tutto si è rovesciato. Soprattutto per opera dei governi della Thatcher in Gran Bretagna e di Reagan negli Stati Uniti si è imposta la dottrina economica di 'non intervento' basata sui principi di un liberalismo esasperato. Sono diminuite in modo drastico le aliquote fiscali sui redditi maggiori, sono state abolite in molti Paesi le imposte sulle eredità e, anche se non è diminuito nel complesso il carico fiscale, è stato alleviato il peso sui redditi più elevati.
Una redistribuzione al contrario?
Sì. Ci sono state scelte politiche che hanno aumentato le differenze tra ceti alti e ceti medio- bassi. A ciò si è accompagnata la finanziarizzazione dell’economia: le strutture della finanza hanno accumulato fortune come non mai prima. Si dice che oggi un terzo delle ricchezze del mondo facciano capo a persone che starebbero tutte in un solo pullman e questo, come viene spiegato da molti economisti, perché il rendimento della finanza è più elevato del rendimento dell’economia produttiva. La tendenza liberista è diventata una prassi comune a tutti i Paesi. Compresa la Cina, che si è sviluppata a un ritmo rapidissimo ma con delle fortissime disparità. Tuttavia negli ultimi 4 o 5 anni non pochi economisti hanno cominciato a studiare il fenomeno della disuguaglianza. Pensi solo alla pubblicazione dei saggi di Piketty o di Atkinson che hanno avuto molta fortuna e hanno fortemente ri-orientato la ricerca, ma ancora non influenzato i comportamenti dei governi. Ancora oggi, chi parla di imposte e di riorganizzazione del sistema fiscale perde le elezioni.
Se chi punta alla ridistribuzione perde le elezioni significa che anche nel sentire comune l’idea liberista é molto diffusa.
Esatto, per questo dico che le dottrine sono importanti. Ma piano piano queste nuove analisi stanno cambiando la testa delle persone. Siamo arrivati a un fatto prima inconcepibile: un candidato alla primarie americane che si definisce socialista, parola che negli Usa era quasi un crimine di guerra. Ora è chiaro che Sanders molto probabilmente non vincerà, ma il fatto che una parte cospicua della giovane generazione americana lo sostenga è interessante perché induce a un ripensamento sui problemi di fondo. "SEGUE >>>
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