Ebrei tra umanità e tragedia - Tempo libero - la Città di Salerno: "Una finestra come simbolo della frontiera che separa l'umanità dalla tragedia. Con questa metafora si apre La Finestra della libertà. Frontiera per un'altra Europa. Storia degli internati ebrei di Campagna (EDUP, Roma, 2015), scritto da Giuseppina Di Stasi e Franco Mazzei. Il volume, organizzato in quattro parti, più una ricca appendice documentaria e storiografica, racconta di una storia che è stata, nel cuore del Novecento, tragedia europea e che, contemporaneamente, ha conosciuto nel Sud dell'Italia un'occasione unica di riscatto umano e morale. Nel giugno 1940, a Campagna, nei locali dell'ex convento Domenicano di San Bartolomeo e di quello degli Osservanti dell'Immacolata Concezione, su proposta del prefetto Bianchi di Salerno al Ministero dell'Interno, venne allestito un campo di internamento per ebrei che arrivò a contare fino a 340 uomini, provenienti da diversi paesi europei. In un'Europa dilaniata dai bombardamenti e segnata dalla tragedia dell'antisemitismo, quello di Campagna costituì un percorso alternativo, quasi un unicum, in cui l'esperienza dell'internamento incontrò quella della integrazione con la popolazione cittadina e le autorità locali.
Non a caso, l'allora segretario del Partito Nazionale Fascista, Adelchi Serena, in una lettera inviata al capo della polizia, si lamentava della eccessiva libertà in cui vivevano «gli internati ebrei del campo di concentramento di Campagna», chiedendo l'adozione di «provvedimenti conseguenti da parte delle forze di polizia del regime».
Come si scopre leggendo alcune pagine del diario di Eugenio Lipschitz, che occupano il secondo capitolo del libro, la vita nel campo era differente da quella condotta in altri campi. A parte alcune prescrizioni imposte dal regime di internamento qui gli ebrei entrarono subito in contatto con i campagnesi, stabilendo una sincera convivenza civile fatta di scambi culturali ed economici, rapporti amorosi e relazioni umane. La quotidianità del loro internamento era scandita da giochi collettivi, da spettacoli di intrattenimento e dalle letture del Talmud, oltre alle convenzionali pratiche di gestione ed organizzazione delle strutture interne. Per alleviare la monotonia di tutti i giorni venne allestita anche una biblioteca ed organizzata una squadra di calcio che giocava periodicamente con squadre della zona. Le relazioni fuori e dentro dal campo, dunque, si inserirono in un micro-cosmo umano, quasi impermeabile alla tragedia europea, in cui a mano a mano iniziarono ad emergere figure di eroi normali e dimenticati come quella del vescovo Giuseppe Maria Palatucci, che offrì agli internati «un appoggio incondizionato», o quella del nipote Giovanni Palatucci, Vice Questore con il compito ad ostacolare l'emigrazione clandestina, che ospitò molti ebrei di altre regioni nel campo di Campagna e ne aiutò altri a fuggire fuori dai confini nazionali. Se la storia del campo di Campagna fu esempio di una autentica solidarietà trans-nazionale, lo si deve infatti a quei protagonisti silenziosi che, in quegli anni, abitarono il campo e la città praticando un'idea di Europa alternativa a quella della barbarie dei totalitarismi. Particolarmente memorabile fu l'impegno del comandante Acone che, il giorno dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, informato di un possibile rastrellamento da parte delle truppe naziste, assieme allo stesso vescovo Palatucci, ordinò a Remo Tagliaferri, all'epoca custode del campo, di divellere le inferriate di una finestra del secondo piano, consentendo così a moltissimi ebrei di fuggire e di nascondersi intorno alle montagne circostanti. La narrazione delle vicende del campo di Campagna prosegue poi, nel terzo capitolo, incrociando la vicenda biografica di due medici ebrei: Maks Tanzer e Chaim Pajes, anche loro internati e protagonisti diretti di quei mesi. L'assistenza interna degli internati, infatti, pur essendo stata assegnata ad un medico «ariano», venne spesso diretta dai due medici di origine ebraica che aiutarono i civili fuori e dentro dal campo. In particolare, la loro attività si rivelò risolutiva all'indomani del 17 settembre 1943 quando, dopo un duro bombardamento che colpì la cittadina salernitana, centinaia di persone persero la vita tra le strade di Campagna. I due medici ebrei, Maks Tanzer e Chaim Pajes, allora, colta la potenziale virulenza della strage, intervennero immediatamente, bruciando i cadaveri ed evitando il diffondersi una pericolosa epidemia tra la popolazione civile. Macro-storia e micro-storia, storia nazionale e storia locale si fondono congiuntamente in un volume che fa della memoria storica, grazie ad un attento uso di fonti primarie, veicolo di narrazione di una vicenda troppo a lungo dimenticata. L'intento dei due autori coglie dunque a pieno l'obiettivo prefissato nelle battute iniziali dell'introduzione al volume, offrendo ai lettori il ricordo di uomini che, nonostante l'atrocità dei campi di concentramento,
riuscirono comunque a professare l'idea di una società libera e democratica e portando la testimonianza di un'Europa altra che, per parafrasare le parole di Sándor Márai, oggi come ieri, continua a conservare «qualcosa che alla fine è più forte dell'odio»."
Non a caso, l'allora segretario del Partito Nazionale Fascista, Adelchi Serena, in una lettera inviata al capo della polizia, si lamentava della eccessiva libertà in cui vivevano «gli internati ebrei del campo di concentramento di Campagna», chiedendo l'adozione di «provvedimenti conseguenti da parte delle forze di polizia del regime».
Come si scopre leggendo alcune pagine del diario di Eugenio Lipschitz, che occupano il secondo capitolo del libro, la vita nel campo era differente da quella condotta in altri campi. A parte alcune prescrizioni imposte dal regime di internamento qui gli ebrei entrarono subito in contatto con i campagnesi, stabilendo una sincera convivenza civile fatta di scambi culturali ed economici, rapporti amorosi e relazioni umane. La quotidianità del loro internamento era scandita da giochi collettivi, da spettacoli di intrattenimento e dalle letture del Talmud, oltre alle convenzionali pratiche di gestione ed organizzazione delle strutture interne. Per alleviare la monotonia di tutti i giorni venne allestita anche una biblioteca ed organizzata una squadra di calcio che giocava periodicamente con squadre della zona. Le relazioni fuori e dentro dal campo, dunque, si inserirono in un micro-cosmo umano, quasi impermeabile alla tragedia europea, in cui a mano a mano iniziarono ad emergere figure di eroi normali e dimenticati come quella del vescovo Giuseppe Maria Palatucci, che offrì agli internati «un appoggio incondizionato», o quella del nipote Giovanni Palatucci, Vice Questore con il compito ad ostacolare l'emigrazione clandestina, che ospitò molti ebrei di altre regioni nel campo di Campagna e ne aiutò altri a fuggire fuori dai confini nazionali. Se la storia del campo di Campagna fu esempio di una autentica solidarietà trans-nazionale, lo si deve infatti a quei protagonisti silenziosi che, in quegli anni, abitarono il campo e la città praticando un'idea di Europa alternativa a quella della barbarie dei totalitarismi. Particolarmente memorabile fu l'impegno del comandante Acone che, il giorno dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, informato di un possibile rastrellamento da parte delle truppe naziste, assieme allo stesso vescovo Palatucci, ordinò a Remo Tagliaferri, all'epoca custode del campo, di divellere le inferriate di una finestra del secondo piano, consentendo così a moltissimi ebrei di fuggire e di nascondersi intorno alle montagne circostanti. La narrazione delle vicende del campo di Campagna prosegue poi, nel terzo capitolo, incrociando la vicenda biografica di due medici ebrei: Maks Tanzer e Chaim Pajes, anche loro internati e protagonisti diretti di quei mesi. L'assistenza interna degli internati, infatti, pur essendo stata assegnata ad un medico «ariano», venne spesso diretta dai due medici di origine ebraica che aiutarono i civili fuori e dentro dal campo. In particolare, la loro attività si rivelò risolutiva all'indomani del 17 settembre 1943 quando, dopo un duro bombardamento che colpì la cittadina salernitana, centinaia di persone persero la vita tra le strade di Campagna. I due medici ebrei, Maks Tanzer e Chaim Pajes, allora, colta la potenziale virulenza della strage, intervennero immediatamente, bruciando i cadaveri ed evitando il diffondersi una pericolosa epidemia tra la popolazione civile. Macro-storia e micro-storia, storia nazionale e storia locale si fondono congiuntamente in un volume che fa della memoria storica, grazie ad un attento uso di fonti primarie, veicolo di narrazione di una vicenda troppo a lungo dimenticata. L'intento dei due autori coglie dunque a pieno l'obiettivo prefissato nelle battute iniziali dell'introduzione al volume, offrendo ai lettori il ricordo di uomini che, nonostante l'atrocità dei campi di concentramento,
riuscirono comunque a professare l'idea di una società libera e democratica e portando la testimonianza di un'Europa altra che, per parafrasare le parole di Sándor Márai, oggi come ieri, continua a conservare «qualcosa che alla fine è più forte dell'odio»."
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