Siria, i cristiani prigionieri dell'Is: Buttati per terra e legati per due mesi - Pagina Nazionale - Alto Adige: "Ad Aleppo puoi scegliere il tuo inferno. La prima città siriana per popolazione (un milione e novecentomila abitanti) è assediata dalla fame, dalle bombe della guerra civile e adesso anche dallo Stato Islamico. Manca l’acqua, mancano i derivati del petrolio, il gasolio, il gas («colpa dell’embargo e del controllo sul petrolio da parte dei gruppi islamisti»). Ci sono i profughi che hanno bisogno di aiuto. E quello del siriano Georges Abu Kahzen, vicario apostolico di Aleppo, 68 anni, è il racconto di una resistenza.
Monsignore, come sta?
«Bene, bene, e lei come sta?», mi chiede sorridente. E la domanda non sembra affatto di circostanza.
Io bene, Monsignore. La chiamo per parlare dello Stato Islamico...
«Sì, quelli dell’Is sono qui, a venti chilometri. Ogni giorno accogliamo ad Aleppo gente in fuga da loro, cristiani e musulmani, li ospitiamo nei conventi e nelle scuole. Sono terrorizzati, hanno paura di tutto, anche di dire il proprio nome».
Cosa le raccontano della vita nei territori occupati dall’Is?
«Dicono per esempio che chi fuma una sigaretta, dopo un primo richiamo, subisce il taglio delle dita. Se viene scoperto ancora a fumare viene ucciso. Lo Stato Islamico governa col terrore e il fanatismo».
Applicano la sharia a loro modo…
«Appunto, a loro modo. Ma questa non è nemmeno la religione musulmana».
L'intervista al vicario di Aleppo
È vero che lo Stato Islamico ha in ostaggio ancora 200 cristiani assiri?
«Sì, ne hanno liberati diciannove. Sedici uomini e tre donne. Sono i più anziani. E noi abbiamo paura che quelli rimasti facciano la stessa fine degli altri ostaggi».
Lei ha parlato con qualcuno di quelli che è stato in ostaggio dell’Is?
«Sì. Uno mi ha raccontato che era totalmente legato, aveva solo una mano libera con cui poteva portare il cibo alla bocca. Mangiava poco e una sola volta al giorno. Non poteva andare al bagno, non poteva cambiarsi i vestiti. Per sessantacinque giorni è rimasto lì, sdraiato per terra. Quando è tornato a casa ha raccontato che guardandosi allo specchio non si riconosceva più, neanche la moglie lo riconosceva più».
Monsignore, cosa dovrebbe fare la comunità internazionale?
«Trovo che ci sia una grande ipocrisia, mi perdoni il termine. L’Occidente sostiene che sta combattendo contro lo Stato Islamico. Ma lo combatte o lo aiuta? Questi hanno le armi più sofisticate di qualsiasi esercito, come arrivano queste armi? Chi li aiuta? Chi compra il petrolio da loro? La povera gente della Somalia?».
Lei ha deciso di restare. Non ha paura?
«Il Signore dice di non aver paura e la nostra missione è quella di incoraggiare ed essere un segno di speranza. Qui nessuno ha lasciato il proprio posto. Nessun religioso. E questo è un segno di incoraggiamento per la nostra gente»."
Monsignore, come sta?
«Bene, bene, e lei come sta?», mi chiede sorridente. E la domanda non sembra affatto di circostanza.
Io bene, Monsignore. La chiamo per parlare dello Stato Islamico...
«Sì, quelli dell’Is sono qui, a venti chilometri. Ogni giorno accogliamo ad Aleppo gente in fuga da loro, cristiani e musulmani, li ospitiamo nei conventi e nelle scuole. Sono terrorizzati, hanno paura di tutto, anche di dire il proprio nome».
Cosa le raccontano della vita nei territori occupati dall’Is?
«Dicono per esempio che chi fuma una sigaretta, dopo un primo richiamo, subisce il taglio delle dita. Se viene scoperto ancora a fumare viene ucciso. Lo Stato Islamico governa col terrore e il fanatismo».
Applicano la sharia a loro modo…
«Appunto, a loro modo. Ma questa non è nemmeno la religione musulmana».
L'intervista al vicario di Aleppo
È vero che lo Stato Islamico ha in ostaggio ancora 200 cristiani assiri?
«Sì, ne hanno liberati diciannove. Sedici uomini e tre donne. Sono i più anziani. E noi abbiamo paura che quelli rimasti facciano la stessa fine degli altri ostaggi».
Lei ha parlato con qualcuno di quelli che è stato in ostaggio dell’Is?
«Sì. Uno mi ha raccontato che era totalmente legato, aveva solo una mano libera con cui poteva portare il cibo alla bocca. Mangiava poco e una sola volta al giorno. Non poteva andare al bagno, non poteva cambiarsi i vestiti. Per sessantacinque giorni è rimasto lì, sdraiato per terra. Quando è tornato a casa ha raccontato che guardandosi allo specchio non si riconosceva più, neanche la moglie lo riconosceva più».
Monsignore, cosa dovrebbe fare la comunità internazionale?
«Trovo che ci sia una grande ipocrisia, mi perdoni il termine. L’Occidente sostiene che sta combattendo contro lo Stato Islamico. Ma lo combatte o lo aiuta? Questi hanno le armi più sofisticate di qualsiasi esercito, come arrivano queste armi? Chi li aiuta? Chi compra il petrolio da loro? La povera gente della Somalia?».
Lei ha deciso di restare. Non ha paura?
«Il Signore dice di non aver paura e la nostra missione è quella di incoraggiare ed essere un segno di speranza. Qui nessuno ha lasciato il proprio posto. Nessun religioso. E questo è un segno di incoraggiamento per la nostra gente»."
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