Cristiani e illuministi hanno sconfitto la tortura | Commenti | www.avvenire.it: "Si narra che nel 1940, pochi mesi prima di morire, il filosofo Bergson, vedendo i nazisti invadere Parigi, esclamasse: «Possiam chiamarci fortunati, per aver potuto rivedere coi nostri occhi come erano fatti gli uomini preistorici». Dovremmo ugualmente, oggi, dichiararci «fortunati» di fronte all’irrompere nelle nostre piccole vite della grandezza del male di cui è capace l’uomo? Neppure per paradosso riusciamo a dirlo.
Eppure, quella spirale di barbarie che fino a ieri avremmo detto impossibile e che invece quotidianamente ci parla di persone arse vive, di bambini crocefissi, di donne violate, schiavizzate e vendute, di uomini sgozzati e, prima del martirio, vilipesi, umiliati, tormentati, ci insegna qualcosa. Ci ricorda una lezione che sempre tendiamo a dimenticare: che, nella storia dell’uomo, nessuna conquista di civiltà è per sempre. Tra il 1943 e il 1944, nell’eremo di Collicello Umbro, ove è sfuggito ad una cattura dei tedeschi che occupano Firenze, Piero Calamandrei scrive una lunga prefazione a una nuova edizione de "Dei delitti e delle pene". Una prefazione che è un libro nel libro: dettato dall’urgenza di pensare al male che in quei mesi sta invadendo ogni città e borgo d’Europa e dalla profondità della riflessione sugli ottimismi dell’uomo di fronte alla storia.
Nel 1840 Alessandro Manzoni – che di Beccaria era nipote – raccontando la Storia della colonna infame aveva scritto: «I tempi della tortura sono, grazie al cielo, abbastanza lontani». Ed ecco che, giusto un secolo più tardi, quell’ottimismo è spazzato via dal ritorno della tortura, delle carni bruciate, delle esecuzioni di massa, dell’uomo ridotto a cosa. Quanti identici abbagli avremmo ancora dovuto conoscere! Quando, negli anni 70 del Novecento, sui testi universitari studiavamo i reati di «riduzione in schiavitù» e di «tratta», pensavamo di trovarci di fronte a relitti della storia, reperti archeologici, confinati per sempre a un passato che mai sarebbe tornato. E invece, trent’anni dopo, ci siamo ritrovati ad applicare quelle norme. Nell’isolamento di Collicello, Calamandrei ragiona sulla vacuità e sulle cause del nostro ricorrente ottimismo storico.
Nei lunghi periodi di pace sociale si forma la «pericolosa illusione» che le leggi degli uomini ispirate ai princìpi di umanità «si reggano per forza propria» e, una volta conquistate, non si possano più perdere. Quei princìpi diventano naturali come l’atmosfera che ci circonda. Tanto che quasi ci dimentichiamo della loro esistenza. Ma, come per l’aria che respiriamo, ci accorgiamo della loro importanza solo quando ci vengono a mancare. E così, quando «quell’atmosfera è sconvolta dall’uragano», quanto tornano i tempi in cui «gli assassini salgono ad assidersi sul banco dei giudici» e «la purità di coscienza diventa titolo per essere portati al patibolo», allora ci si ricorda che, nella storia dell’umanità, nulla è irreversibile. Libertà, dignità e rispetto di ogni persona vanno pensate ogni giorno. Difese ogni giorno. L’offesa ad esse ci riguarda, sempre: anche se minima, anche se distante da noi. Calamandrei riflette, così, sulle radici dei nostri sentimenti più nobili e profondi. E scrive parole che ancor oggi ci riscaldano.
Il rifiuto della riduzione della persona umana a cosa affonda in quell’amore dell’umanità, in quel riconoscimento della «ugual dignità morale insopprimibile in ogni uomo» che è il portato più profondo di millenni di storia d’Europa e che coincidono con l’amore della libertà e «l’altruismo cristiano, che è certo la parola più alta detta nei secoli per consolarci». Parola «di fierezza, non di ignavia: perché questo senso della solidarietà e della reciprocità umana, che […] sente la schiavitù altrui come menomazione della propria libertà, è una conquista e un rinvigorimento, non un infiacchimento e una rinuncia, della coscienza individuale». "
Eppure, quella spirale di barbarie che fino a ieri avremmo detto impossibile e che invece quotidianamente ci parla di persone arse vive, di bambini crocefissi, di donne violate, schiavizzate e vendute, di uomini sgozzati e, prima del martirio, vilipesi, umiliati, tormentati, ci insegna qualcosa. Ci ricorda una lezione che sempre tendiamo a dimenticare: che, nella storia dell’uomo, nessuna conquista di civiltà è per sempre. Tra il 1943 e il 1944, nell’eremo di Collicello Umbro, ove è sfuggito ad una cattura dei tedeschi che occupano Firenze, Piero Calamandrei scrive una lunga prefazione a una nuova edizione de "Dei delitti e delle pene". Una prefazione che è un libro nel libro: dettato dall’urgenza di pensare al male che in quei mesi sta invadendo ogni città e borgo d’Europa e dalla profondità della riflessione sugli ottimismi dell’uomo di fronte alla storia.
Nel 1840 Alessandro Manzoni – che di Beccaria era nipote – raccontando la Storia della colonna infame aveva scritto: «I tempi della tortura sono, grazie al cielo, abbastanza lontani». Ed ecco che, giusto un secolo più tardi, quell’ottimismo è spazzato via dal ritorno della tortura, delle carni bruciate, delle esecuzioni di massa, dell’uomo ridotto a cosa. Quanti identici abbagli avremmo ancora dovuto conoscere! Quando, negli anni 70 del Novecento, sui testi universitari studiavamo i reati di «riduzione in schiavitù» e di «tratta», pensavamo di trovarci di fronte a relitti della storia, reperti archeologici, confinati per sempre a un passato che mai sarebbe tornato. E invece, trent’anni dopo, ci siamo ritrovati ad applicare quelle norme. Nell’isolamento di Collicello, Calamandrei ragiona sulla vacuità e sulle cause del nostro ricorrente ottimismo storico.
Nei lunghi periodi di pace sociale si forma la «pericolosa illusione» che le leggi degli uomini ispirate ai princìpi di umanità «si reggano per forza propria» e, una volta conquistate, non si possano più perdere. Quei princìpi diventano naturali come l’atmosfera che ci circonda. Tanto che quasi ci dimentichiamo della loro esistenza. Ma, come per l’aria che respiriamo, ci accorgiamo della loro importanza solo quando ci vengono a mancare. E così, quando «quell’atmosfera è sconvolta dall’uragano», quanto tornano i tempi in cui «gli assassini salgono ad assidersi sul banco dei giudici» e «la purità di coscienza diventa titolo per essere portati al patibolo», allora ci si ricorda che, nella storia dell’umanità, nulla è irreversibile. Libertà, dignità e rispetto di ogni persona vanno pensate ogni giorno. Difese ogni giorno. L’offesa ad esse ci riguarda, sempre: anche se minima, anche se distante da noi. Calamandrei riflette, così, sulle radici dei nostri sentimenti più nobili e profondi. E scrive parole che ancor oggi ci riscaldano.
Il rifiuto della riduzione della persona umana a cosa affonda in quell’amore dell’umanità, in quel riconoscimento della «ugual dignità morale insopprimibile in ogni uomo» che è il portato più profondo di millenni di storia d’Europa e che coincidono con l’amore della libertà e «l’altruismo cristiano, che è certo la parola più alta detta nei secoli per consolarci». Parola «di fierezza, non di ignavia: perché questo senso della solidarietà e della reciprocità umana, che […] sente la schiavitù altrui come menomazione della propria libertà, è una conquista e un rinvigorimento, non un infiacchimento e una rinuncia, della coscienza individuale». "
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