«Siamo diventati una città di insensibili» - Cronaca - Messaggero Veneto: "PORDENONE. Un’ora a colloquio con monsignor Luciano Padovese – per tutti semplicemente don Luciano – probabilmente non basta per ottenere un quadro completo, e dettagliato, della Pordenone dell’ultimo mezzo secolo.
Ma è senza dubbio sufficiente per respirare nuovamente quell’aria da “nouvelle vague” introdotta in città dall’allora giovanissimo prelato quando, appena trentatreenne, fondò quella Casa Zanussi che nei cinquant’anni successivi sarebbe diventata un centro di riferimento culturale talmente importante da ospitare più di 400 mostre e al cui interno esiste una galleria d’arte capace di contenere poco meno di mille e cinquecento opere.
A guardarlo parlare e discorrere non diresti mai che sulla carta d’idenità porta, come data di nascita, il 1932. La lucidità, infatti, è quella dei tempi d’oro. Così come l’amore per Pordenone.
Ed è per quello che quando ti fissa dritto negli occhi e ti dice che «la città è profondamente cambiata e non sempre in meglio» non puoi fare a meno di ascoltarlo.
Pro e contro. Monsignor Padovese, da quel febbraio del 1968 in cui alla Casa dello studente inaugurò la sua prima mostra, ne ha fatta di strada.
Trasformando il Centro che Lino Zanussi volle fondare in onore del padre Antonio in uno dei cuori pulsanti della cultura di tutto il Triveneto.
«Siamo stati dei pionieri – ricorda – avventurandoci in una terra che all’epoca, ma per certi versi anche adesso, era quasi inesplorata. Abbiamo voluto, riuscendoci, fare uscire l’arte dai musei e dalle gallerie per renderla viva e fruibile. E in questo la città, negli anni, ha compiuto passi da gigante se penso a manifestazioni come le giornate del Cinema Muto o a Pordenonelegge che rappresentano appuntamenti clou nel panorama italiano e internazionale».
Discorso diverso, anzi, quasi opposto, se invece a don Luciano si chiede un’analisi dei mutamenti sociali del territorio.
«Sono molto critico con i miei concittadini – ha proseguito - perchè credo che Pordenone abbia enormi problemi di sensibilità e nei rapporti con il prossimo. La gente si è inaridita e questo, per una città di accolti, non è un buon segnale. Siamo ancora una realtà giovane, è vero, ma abbiamo perso quel concetto di “civitas”, inteso come capacità di fare le cose assieme, che ci apparteneva quasi di diritto».
Orgoglio. Diventa difficile, adesso, pensare al rifiuto iniziale di monsignor Padovese, quando l’allora vescovo Vittorio de Zanche, assieme a Lino Zanussi e Luciano Savio, gli propose di guidare la Casa dello studente.
«Eppure è vero – conferma –, non volevo dirigere semplicemente un centro che permettesse ai ragazzi di trascorrere qualche ora insieme. Ho chiesto, e ottenuto, qualcosa di più. Qualcosa che mi consentisse di concretizzare la nuova aria che si respirava grazie al Concilio Vaticano II e che avevo assaggiato a Roma, con i gesuiti della gregoriana. Ci siamo mossi lungo tre direttrici di sviluppo: gli artisti regionali e di tutto il Triveneto, il filone nazionale e un’attività di scambio interculturale con l’estero. Passo dopo passo abbiamo creato un piccolo gioiellino in grado di attrarre i migliori artisti in circolazione. Ma abbiamo sempre puntato anche formazione come dimostra la fondazione dell’Istituto regionale di studi europei».
Tra la gente. C’è un concetto che forse spiega meglio di altro l’incredibile attività di don Luciano e cioè la sua volontà, e capacità, di non limitare il proprio lavoro al magistero ecclesiastico.
Ma di guardare oltre, come testimonia un curriculum personale che comprende anche l’insegnamento, l’essere stato componente della Fondazione Crup – e ancora del Comitato di presidenza del Consorzio universitario di Pordenone – oltre ad aver scritto libri di etica morale e sociale.
«Il prete non può e non deve – ha concluso – essere estraneo all’umano. Non può permettersi di chiudersi nella propria attività ecclesiastica. Deve stare tra la gente, percepirne gli umori, capirne i problemi e le esigenze. Io ho sempre creduto in quello che ripete adesso papa Francesco: aprite le vostre porte al popolo. Nel senso più ampio possibile. Perché dobbiamo essere noi a dover andare da loro, non aspettare trincerati dietro le mura di una chiesa o di una canonica. Diffondere il messaggio pastorale è fondamentale, ma il nocciolo chiave del cristianesimo risiede nell’aiutare il prossimo e nel rappresentare una speranza concreta per tutti coloro che sono in difficoltà».
Ed è per tutto questo che don Luciano, il prossimo anno, riceverà dalle mani del sindaco Pedrotti il sigillo della città."
Ma è senza dubbio sufficiente per respirare nuovamente quell’aria da “nouvelle vague” introdotta in città dall’allora giovanissimo prelato quando, appena trentatreenne, fondò quella Casa Zanussi che nei cinquant’anni successivi sarebbe diventata un centro di riferimento culturale talmente importante da ospitare più di 400 mostre e al cui interno esiste una galleria d’arte capace di contenere poco meno di mille e cinquecento opere.
A guardarlo parlare e discorrere non diresti mai che sulla carta d’idenità porta, come data di nascita, il 1932. La lucidità, infatti, è quella dei tempi d’oro. Così come l’amore per Pordenone.
Ed è per quello che quando ti fissa dritto negli occhi e ti dice che «la città è profondamente cambiata e non sempre in meglio» non puoi fare a meno di ascoltarlo.
Pro e contro. Monsignor Padovese, da quel febbraio del 1968 in cui alla Casa dello studente inaugurò la sua prima mostra, ne ha fatta di strada.
Trasformando il Centro che Lino Zanussi volle fondare in onore del padre Antonio in uno dei cuori pulsanti della cultura di tutto il Triveneto.
«Siamo stati dei pionieri – ricorda – avventurandoci in una terra che all’epoca, ma per certi versi anche adesso, era quasi inesplorata. Abbiamo voluto, riuscendoci, fare uscire l’arte dai musei e dalle gallerie per renderla viva e fruibile. E in questo la città, negli anni, ha compiuto passi da gigante se penso a manifestazioni come le giornate del Cinema Muto o a Pordenonelegge che rappresentano appuntamenti clou nel panorama italiano e internazionale».
Discorso diverso, anzi, quasi opposto, se invece a don Luciano si chiede un’analisi dei mutamenti sociali del territorio.
«Sono molto critico con i miei concittadini – ha proseguito - perchè credo che Pordenone abbia enormi problemi di sensibilità e nei rapporti con il prossimo. La gente si è inaridita e questo, per una città di accolti, non è un buon segnale. Siamo ancora una realtà giovane, è vero, ma abbiamo perso quel concetto di “civitas”, inteso come capacità di fare le cose assieme, che ci apparteneva quasi di diritto».
Orgoglio. Diventa difficile, adesso, pensare al rifiuto iniziale di monsignor Padovese, quando l’allora vescovo Vittorio de Zanche, assieme a Lino Zanussi e Luciano Savio, gli propose di guidare la Casa dello studente.
«Eppure è vero – conferma –, non volevo dirigere semplicemente un centro che permettesse ai ragazzi di trascorrere qualche ora insieme. Ho chiesto, e ottenuto, qualcosa di più. Qualcosa che mi consentisse di concretizzare la nuova aria che si respirava grazie al Concilio Vaticano II e che avevo assaggiato a Roma, con i gesuiti della gregoriana. Ci siamo mossi lungo tre direttrici di sviluppo: gli artisti regionali e di tutto il Triveneto, il filone nazionale e un’attività di scambio interculturale con l’estero. Passo dopo passo abbiamo creato un piccolo gioiellino in grado di attrarre i migliori artisti in circolazione. Ma abbiamo sempre puntato anche formazione come dimostra la fondazione dell’Istituto regionale di studi europei».
Tra la gente. C’è un concetto che forse spiega meglio di altro l’incredibile attività di don Luciano e cioè la sua volontà, e capacità, di non limitare il proprio lavoro al magistero ecclesiastico.
Ma di guardare oltre, come testimonia un curriculum personale che comprende anche l’insegnamento, l’essere stato componente della Fondazione Crup – e ancora del Comitato di presidenza del Consorzio universitario di Pordenone – oltre ad aver scritto libri di etica morale e sociale.
«Il prete non può e non deve – ha concluso – essere estraneo all’umano. Non può permettersi di chiudersi nella propria attività ecclesiastica. Deve stare tra la gente, percepirne gli umori, capirne i problemi e le esigenze. Io ho sempre creduto in quello che ripete adesso papa Francesco: aprite le vostre porte al popolo. Nel senso più ampio possibile. Perché dobbiamo essere noi a dover andare da loro, non aspettare trincerati dietro le mura di una chiesa o di una canonica. Diffondere il messaggio pastorale è fondamentale, ma il nocciolo chiave del cristianesimo risiede nell’aiutare il prossimo e nel rappresentare una speranza concreta per tutti coloro che sono in difficoltà».
Ed è per tutto questo che don Luciano, il prossimo anno, riceverà dalle mani del sindaco Pedrotti il sigillo della città."
'via Blog this'
Nessun commento:
Posta un commento