Così l’offerta di armamenti accende le guerre | Commenti | www.avvenire.it: "Le notizie che arrivano quotidianamente dai diversi fronti di guerra quali Ucraina, Iraq, Siria e Libia hanno aumentato la consapevolezza in merito al pericoloso contagio della violenza su grande scala e quindi dei rischi che si potrebbero presentare in futuro prossimo. Se diverse sono le cause dei conflitti, comune è però il fatto che essi siano stati resi possibili dalla globalizzazione del mercato degli armamenti. Il mondo, infatti, è più armato rispetto a dieci anni fa, e l’escalation dei combattimenti testimonia atrocemente che l’antico motto si vis pacem para bellum ancora una volta si è mostrato fallace di fronte alla realtà dei fatti.
Che, peraltro, è ben rappresentata dalle forti e più volte ripetute parole di Papa Francesco su chi si muove dietro le quinte della «Terza guerra mondiale combattuta a pezzi»: «interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, e c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante». Più armi, insomma, hanno contribuito a generare una maggiore instabilità, e non viceversa. Il quadro globale è decisamente chiaro. Nel solo 2013 la spesa militare ha raggiunto i 1.702 miliardi di dollari. I primi Paesi sono stati Stati Uniti (36% del totale del mercato), Cina (10%), Russia (5%), Arabia Saudita (4%), Francia (3,5%).
Per la prima volta, considerato l’ingresso nel "club" dell’Arabia Saudita, i cinque Paesi al mondo che affrontano le maggiori spese militari non corrispondono ai cinque Paesi membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’Onu. Al di là dei valori assoluti, quello che desta preoccupazione sono i tassi di crescita degli ultimi anni. Se consideriamo il periodo 2001-2013, le spese militari in termini reali sono aumentate a livello globale del 50%. Gli Stati Uniti spendono il 55% in più, la Russia il 151%, la Cina il 277%, l’India il 71%. In Africa, i Paesi sub-sahariani spendono l’85% in più, mentre nei Paesi dell’area settentrionale la crescita ha toccato il 172%. Per i Paesi mediorientali l’aumento è stato del 31%. Soltanto i Paesi dell’Europa occidentale registrano una diminuzione di un modesto 3%, anche se essa è da ricondurre esclusivamente alla crisi economica, poiché fino al 2009 anche le nazioni Ue registravano una tendenza in crescita, seppur inferiore al 10%. Dal lato della produzione, il mercato globale degli armamenti è purtroppo un’eredità industriale e relazionale della Guerra Fredda. La contesa tra Stati Uniti e Unione Sovietica (e poi Russia) si è infatti trasferita nel mercato delle armi. Nel quinquennio 2008-2013, Washington e Mosca hanno pesato rispettivamente per il 29% e il 27% delle esportazioni mondiali. Seguono Germania (7%), Francia (5,9%), Cina (5%), Regno Unito (4,1%), Ucraina e Italia al 2,45%. Se guardiamo alle prime quindici imprese produttrici di armi, dieci sono statunitensi."
Che, peraltro, è ben rappresentata dalle forti e più volte ripetute parole di Papa Francesco su chi si muove dietro le quinte della «Terza guerra mondiale combattuta a pezzi»: «interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, e c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante». Più armi, insomma, hanno contribuito a generare una maggiore instabilità, e non viceversa. Il quadro globale è decisamente chiaro. Nel solo 2013 la spesa militare ha raggiunto i 1.702 miliardi di dollari. I primi Paesi sono stati Stati Uniti (36% del totale del mercato), Cina (10%), Russia (5%), Arabia Saudita (4%), Francia (3,5%).
Per la prima volta, considerato l’ingresso nel "club" dell’Arabia Saudita, i cinque Paesi al mondo che affrontano le maggiori spese militari non corrispondono ai cinque Paesi membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’Onu. Al di là dei valori assoluti, quello che desta preoccupazione sono i tassi di crescita degli ultimi anni. Se consideriamo il periodo 2001-2013, le spese militari in termini reali sono aumentate a livello globale del 50%. Gli Stati Uniti spendono il 55% in più, la Russia il 151%, la Cina il 277%, l’India il 71%. In Africa, i Paesi sub-sahariani spendono l’85% in più, mentre nei Paesi dell’area settentrionale la crescita ha toccato il 172%. Per i Paesi mediorientali l’aumento è stato del 31%. Soltanto i Paesi dell’Europa occidentale registrano una diminuzione di un modesto 3%, anche se essa è da ricondurre esclusivamente alla crisi economica, poiché fino al 2009 anche le nazioni Ue registravano una tendenza in crescita, seppur inferiore al 10%. Dal lato della produzione, il mercato globale degli armamenti è purtroppo un’eredità industriale e relazionale della Guerra Fredda. La contesa tra Stati Uniti e Unione Sovietica (e poi Russia) si è infatti trasferita nel mercato delle armi. Nel quinquennio 2008-2013, Washington e Mosca hanno pesato rispettivamente per il 29% e il 27% delle esportazioni mondiali. Seguono Germania (7%), Francia (5,9%), Cina (5%), Regno Unito (4,1%), Ucraina e Italia al 2,45%. Se guardiamo alle prime quindici imprese produttrici di armi, dieci sono statunitensi."
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