@ - La Libia post-Gheddafi è stata per oltre un decennio un terreno di scontro geopolitico. Ma se molte potenze hanno giocato una partita intermittente, la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan ha saputo inserirsi con metodo e determinazione, trasformando il Paese in una vera e propria piattaforma avanzata per i suoi interessi nel Mediterraneo e in Africa.
La Turchia si prende la Libia mentre l’Italia resta a guardare
Una strategia che ha visto Ankara agire con decisione sul piano militare, economico e diplomatico, guadagnando terreno mentre altri, Italia in primis, arretravano o restavano impantanati nell’incertezza.
L’inizio: mercenari contro mercenari
L’ingresso della Turchia in Libia inizia come una risposta alle mosse di altre potenze. Nel 2012 Mosca schiera i contractor della Wagner a sostegno del generale Khalifa Haftar, uomo forte dell’Est libico, sostenuto anche dall’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi e dagli Emirati Arabi Uniti. Per Erdoğan, Haftar è un nemico naturale: figura speculare a quella di al-Sisi, il suo più grande avversario regionale, e fiero oppositore dei Fratelli Musulmani, vicini ad Ankara.
A Tripoli, invece, il governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj riceve aiuto dai mercenari della Sadat, la compagnia di sicurezza privata turca che opera come longa manus di Ankara in diversi scenari musulmani. Non solo uomini sul campo, ma anche intelligence e addestramento militare. Una mossa che segna l’inizio di un lungo impegno turco in Libia.
2019: la guerra dei droni e la svolta militare
Nel 2019 il conflitto libico prende una nuova piega. Gli Emirati inviano ad Haftar i droni cinesi Wing Loong, Ankara risponde con i suoi Bayraktar TB2. Questi ultimi si rivelano decisivi: in pochi mesi, la supremazia aerea turca rovescia le sorti del conflitto, costringendo i russi e i loro alleati sulla difensiva. La vittoria dei droni turchi è un messaggio chiaro non solo ai nemici sul campo, ma anche ai partner occidentali: la Turchia ha la tecnologia, le risorse e la volontà di agire in autonomia, senza dipendere da nessuno.
Macron protesta, accusando Erdoğan di violare l’embargo sulle armi imposto dall’ONU. Il leader turco risponde con la consueta aggressività: «Non prendo lezioni da chi ha sempre sfruttato l’Africa». Un riferimento neanche troppo velato alla storica presenza francese nel continente.
L’accordo marittimo e l’isolamento dell’Italia
Ma la mossa più astuta arriva alla fine del 2019, quando Ankara firma con Tripoli un accordo sulla delimitazione delle acque territoriali. L’intesa, oltre a rafforzare i legami tra i due governi, permette alla Turchia di inserirsi nelle dispute energetiche del Mediterraneo orientale, sfidando Grecia, Egitto e Israele. Non è solo geopolitica: Erdoğan manda un segnale chiaro a chiunque voglia trasportare gas dalla regione verso l’Europa senza coinvolgere Ankara. E qui, l’Italia si trova ancora una volta spiazzata.
Roma, storicamente uno degli attori principali in Libia, osserva senza reagire mentre la Turchia si prende lo spazio politico ed economico che una volta era appannaggio italiano. Il gasdotto EastMed, che avrebbe dovuto collegare Israele, Cipro e Grecia con l’Europa, subisce un colpo durissimo. Erdoğan ottiene così due risultati in un colpo solo: bloccare un’infrastruttura che lo avrebbe escluso e consolidare il suo controllo sulle risorse energetiche libiche.
Tripoli difesa dai siriani, appalti alle aziende turche
A inizio 2020 il Parlamento turco autorizza l’invio di truppe in Libia. Ufficialmente, Ankara si impegna a «difendere il governo legittimo di Tripoli», ma a combattere sul campo sono per lo più mercenari siriani addestrati dalla Turchia. Circa 2.000 uomini dell’Esercito libero siriano vengono trasferiti in Libia per respingere l’assalto di Haftar. A giugno 2020, la guerra civile si conclude con la sconfitta del generale della Cirenaica. Erdoğan esulta: «I nostri servizi segreti hanno ribaltato la situazione». Con la vittoria militare arriva il premio economico: appalti per la ricostruzione, contratti per la formazione dell’esercito e della polizia libica, investimenti strategici. Le aziende turche ottengono la costruzione di centrali elettriche, aeroporti, centri commerciali. L’export turco in Libia cresce del 65% nel 2021, arrivando a 2,4 miliardi di dollari.
E l’Italia? Mentre Ankara incassa contratti e influenza, Roma resta impantanata in una politica incerta, incapace di rivendicare il suo storico ruolo nel paese.
2022: crisi evitata e nuovi affari
Nel 2022, la Turchia affronta un momento di incertezza. Le elezioni libiche saltano e il premier Dbeibah viene sfiduciato, con il suo rivale Fathi Bashagha che cerca di prenderne il posto. Per Ankara si profila il rischio di perdere l’alleato a Tripoli. Ma la diplomazia turca si muove rapidamente: a settembre, sia Dbeibah che Bashagha si recano ad Ankara per colloqui riservati. Il risultato? Dbeibah rimane al suo posto, le tensioni si placano e il controllo turco sulla Libia si consolida ulteriormente.
Nel frattempo, arrivano nuovi accordi. Un memorandum d’intesa siglato tra Tripoli e Ankara prevede investimenti nelle energie rinnovabili. La Libia ha un problema crescente di approvvigionamento elettrico e, ancora una volta, è la Turchia a offrire la soluzione.
La strategia turca in Libia è un esempio di come Ankara sappia muoversi con pragmatismo e senza esitazioni. Militare, diplomazia, economia: Erdoğan ha costruito una presenza solida, difficile da scalfire. L’Italia, che fino a pochi anni fa era il principale partner della Libia, ha invece perso terreno, lasciando spazio a una potenza che oggi decide le sorti del paese. Mentre Roma si arrovella in dibattiti inconcludenti e oscilla tra il sostegno a Tripoli e il tentativo di non scontentare i rivali di Haftar, la Turchia ha già definito il futuro della Libia. E, come sempre, l’Italia arriva quando i giochi sono già fatti.
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